Antonioni: “A Fano non esistono “baby gang”, ricominciare dall’educazione e dall’integrazione”

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FANO – “L’epilogo della nota vicenda dell’aggressione al sig. Filippo Ravagli, avvenuta nei giorni scorsi davanti al suo ristorante nel momento della chiusura notturna in zona Lido, ci consegna due notizie che meritano una riflessione. Si apprende dai giornali di ieri che l’aggredito non intende denunciare gli aggressori e che gli aggressori, tutti adolescenti , e i rispettivi genitori non hanno chiesto scusa all’aggredito né forse intendono farlo.

Il buon cuore del sig. Ravagli ci priva della possibilità di sapere esattamente come sono andate le cose visto che senza denuncia non ci saranno indagini approfondite mentre le mancate scuse lasciano del tutto inespresso quel minimo di risarcimento morale a cui, stando alle scarne informazioni sull’accaduto  tutte derivate dal racconto dell’aggredito, il Sig. Ravagli avrebbe diritto.

Eppure nell’immediatezza del fatto si sono spese parole davvero ingombranti per una città che volesse affrontare la questione con un approccio diverso da quello che abitualmente scatta in questi casi. Intanto il gruppo di ragazzi è stato definito una “baby gang” che è una fattispecie ben precisa nel variegato panorama delle diverse forme che assume la realtà malavitosa. Una baby gang è una micro società di giovanissimi programmaticamente formata per commettere abusi, aggressioni, delitti più o meno gravi, con un forte legame interno, rituali e gerarchie che ne assicurino la solidarietà fra i membri. Non starò qui ad approfondire ma mi pare che non si tratti di questo nel caso in ispecie, e poiché “le parole sono pietre” come ci ricorda Primo Levi, sarà bene che giornalisti, uomini e donne politici e delle istituzioni, nonché forze dell’ordine  provino ad usarle con maggiore appropriatezza.

Perché comunque sia quei ragazzi adolescenti sono figli e nipoti nostri, sono stati educati nelle nostre scuole, nella nostra città intessono le loro reti di relazioni sociali, talvolta sono il vicino di casa che non ti aspetti. Ciò che mi inquieta come cittadino ed educatore non è il fatto, pur grave, accaduto al sig. Ravagli quanto piuttosto ciò che ne è seguito nella reazione di troppi che hanno tentato di lavare la loro falsa coscienza allontanando da sé il problema sottostante al fatto, educativo e sociale, derubricandolo come un problema di sicurezza.

Ed ecco allora che nell’orgia linguistica che ne è seguita, si innalza ancora di più il livello della incomprensione del fenomeno. A Fano non esistono “baby gang”, eppure si è invocata “tolleranza zero” contro di esse prendendo a prestito una allocuzione infelice della destra americana più reazionaria, divenuta linguaggio comune nell’ormai indifferenziato vocabolario della politica italiana. Se la tolleranza zero potesse portare qualche beneficio, nella patria in cui ad ogni cittadino corrisponde almeno un’arma da fuoco e in cui i poliziotti hanno il grilletto facile, adolescenti impazziti non farebbero strage di coetanei nei college sparando a raffica col fucile del papà e i poliziotti non impallinerebbero  alle spalle  cittadini neri per le strade. Quindi basta con questo linguaggio. Ci si impone un cambio di analisi nella lettura dei fenomeni che è il presupposto di ogni buona politica, bisogna volgere lo sguardo altrove e, senza per questo doverci per forza cospargere il capo di cenere, occorrerebbe che il mondo adulto, e dunque la politica stessa, ragionasse sull’emergenza educativa che rende inquieta la nostra comunità, l’affrontasse con l’arma mite del ragionamento impietoso ma risolutivo dei fenomeni sociali, con la risorsa dell’accoglienza che comprende prima di giudicare.

I ragazzi e i loro genitori non chiederanno scusa al Sig. Ravagli? Potrebbero dare dell’accaduto una diversa narrazione? Pensano, genitori e figli, di avere reagito ad una provocazione? Si autogiustificano quindi per il gesto compiuto? Sbagliano, perché non ci sono parole fuori posto  che possano giustificare il passaggio all’atto, alla violenza. Quando questo accade cambia il livello del problema. Proprio questo è il punto, il fallimento è proprio lì dove si è interrotto quel processo educativo che dà a ciascuno piena consapevolezza di sé come individuo soggetto di relazioni e come attore sociale parte di una comunità. I genitori che non chiedono scusa dovrebbero quindi loro stessi porsi qualche domanda perché di quel processo educativo interrotto, che ha lasciato inermi i loro ragazzi, sono parte responsabile. Se chiedessero scusa al Sig. Ravagli, qualunque cosa possa essere successo quella sera, farebbero un gesto adeguato alla riassunzione di una responsabilità che può essere condivisa (per esempio con la scuola) ma non delegata.

Eppure si parla di sicurezza. Se ne parla in conseguenza di quell’unico fatto e non per una particolare situazione di emergenza, dunque se ne parla a sproposito, vale a dire con l’approccio sbagliato. Non più di qualche mese fa, il Sindaco di Fano ha incontrato il Prefetto  Dr. Luigi Pizzi e nel corso dell’incontro è emerso che a Fano nel 2014, pur rappresentando furti e rapine il 68% del totale dei reati commessi, c’è una diminuzione sia generale del 3,5%, che di tutte le varie tipologie che ne rappresentano il vasto panorama. Sono diminuiti del 22% sulle auto in sosta, del 69% sui ciclomotori, del 3,44% sulle autovetture, del 20% i furti con strappo, del 6,29% nelle abitazioni mentre sono aumentati del 13,66% quelli con destrezza e del 58,42% negli esercizi commerciali. Non ingannino i dati percentuali poiché si applicano in molti casi su dati assoluti  di scarsa consistenza. Se poi si scavasse più a fondo apparirebbe che molti reati sono legati alle condizioni di molte persone che la crisi economica ha schiacciato inesorabilmente sul piano sociale quando non agiscono reti di protezione famigliari, di vicinato ed istituzionali.

“La situazione globale dell’ordine e della sicurezza pubblica si ritiene pertanto, allo stato attuale, tale da non destare particolare allarme”.  Così recita l’articolo di cronaca che dà conto dell’incontro, probabilmente riportando una valutazione conclusiva dello stesso Prefetto.

A questo punto non si può non rilevare che ogni discussione sulla sicurezza si faccia qui a Fano, appare inesorabilmente rispondere ad esigenze di natura “politica” nel senso più deteriore del termine, assume una strumentalità che non si fa scrupolo di confondere la percezione del fenomeno con la sua effettiva consistenza e che, con il solo fatto di esaltarne la potenziale pericolosità, lo sottrae al realistico uso della ragione per affidarlo al lacerante dominio delle emozioni.

Perciò mi colpisce il fatto che il consigliere Del Vecchio che per tanti anni si è occupato dei problemi sociali della città e che quindi dovrebbe avere dei fenomeni sottostanti le questioni della sicurezza una visione più complessa, abbia presentato una mozione in Consiglio comunale francamente non condivisibile né sul piano delle premesse né, di conseguenza, su quello delle conclusioni. A che pro si fa riferimento alle più qualunquistiche affermazioni, che è dato di sentire solo in luoghi non certo raccomandabili per perspicacia di analisi, secondo cui ora bisogna mettere le inferriate alla finestre di casa, oppure non si può lasciare come un tempo l’auto aperta senza incorrere nel pericolo che te la rubino ovvero che i bambini rischiano a giocare nei giardini pubblici? Senza tralasciare l’accenno classico all’ineliminabile rapporto tra criminalità e immigrazione laddove si accenna al fatto che i fatti criminosi sono attuati da persone “spesso provenienti dall’est europeo” dove per un pelo non si sconfina nel territorio melmoso del “capro espiatorio”?

Non ci si può  assumere  così scopertamente e impunemente l’incarico di parlare alla pancia dei cittadini piuttosto che alla loro ragione, di enfatizzare la percezione distorta dei fenomeni piuttosto che avvicinarla alla realtà per potercene  fare carico per quanto a ciascuno di noi compete.

Le conseguenze di questo ragionamento non possono essere che il controllo del territorio fino alla sua militarizzazione, alla prevenzione affidata alle telecamere che dominano la vita di ciascuno come il profetico occhio orwelliano del Grande Fratello, alla visione puramente muscolare dell’uso delle forze di sicurezza, fino alla invocazione dell’esercito ad ogni angolo di strada. Se per questa via si pensa che i cittadini possano sentirsi più sicuri ci si sbaglia di grosso, il senso di sicurezza appare piuttosto inversamente proporzionale al dispiegamento delle forze, si allarga il sentimento della paura che nei luoghi non presidiati da alcuno qualcuno possa aggredirti. Tutto ciò porta alla pericolosa concezione che la sicurezza sia un fatto meramente individuale per cui se metto le inferriate, l’allarme in casa e nell’auto, la videocamera sul palo della luce davanti a casa mia con la pattuglia della polizia che fa la ronda ogni mezz’ora allora io sono al sicuro e in malora tutti gli altri.

Naturalmente le soluzioni facili non ci sono, ma intanto si potrebbe cominciare con un gesto di verità: riportare il fenomeno nella sua giusta dimensione anche quantitativa, provare a ri-costruire il senso e i luoghi della socialità e della comunità nella quale viviamo.

A partire da due fondamentali elementi: la qualità dell’offerta educativa per i nostri bambini e ragazzi e la qualità dell’accoglienza e dei processi di integrazione per tutti, stranieri e migranti compresi.

Quante sono a Fano le risorse culturali, associative, istituzionali che possono essere chiamate ad uno sforzo eccezionale per rendere la vita più sicura per tutti? Secondo me molte. Con esse va fatto un investimento per il futuro attraverso più educazione, più coscienza di sé come soggetti sociali, più senso della responsabilità civile, più socialità e spirito comunitario contro il particolarismo e la ingannevole fuoriuscita individuale dal senso di frustrazione e insicurezza”.

 

FAUSTO ANTONIONI

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