L’Università di Urbino piange la scomparsa di Sergio Guerra

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URBINO – A nome del Consiglio di Amministrazione, del Senato Accademico e di tutto il personale dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, il rettore Vilberto Stocchi esprime il suo profondo cordoglio per la scomparsa del professor Sergio Guerra e si unisce al grande dolore della famiglia. Così lo ricorda l’amico e collega Giovanni Darconza:

 

Ciao Sergio (è solo un arrivederci…)

Si è spento oggi l’amico e collega di tante battaglie Sergio Guerra, professore di letteratura e cultura inglese presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Menestrello, cantautore, mattatore, organizzatore del corso estivo per stranieri. Chi non ha mai sentito la sua versione parodica di Vecchio Freak, sulle note indimenticabili di Domenico Modugno, si è perso una perla di comicità e virtuosismo. 

Sì, perché Sergio amava cantare accompagnandosi con la chitarra. Conosceva tutti i pezzi dei Beatles a memoria, e io, a ogni concerto, spettacolo o semplice serata tra amici, ogni qualvolta aveva una chitarra in mano, gli chiedevo di suonare sempre quella, la stessa: While My Guitar Gently Weeps. E oggi le corde del mio cuore, riascoltando quella melodia, piangono per la scomparsa di Sergio, che fedele al suo cognome, da più di un mese a questa parte aveva intrapreso la sua guerra silenziosa contro il coronavirus. 

Condividevamo lo stesso ufficio a Palazzo Petrangolini, la stessa scrivania, perché assieme ad Alessandra Calanchi, eravamo in tre in uno stanzino piccolo con due scrivanie. Adesso la seconda scrivania è tutta per me, e non posso fare a meno di pensare che lui se la meritava più di me. Non ricordo quando io e Sergio ci siamo visti per l’ultima volta, prima del blocco totale, prima degli arresti domiciliari, che cosa ci siamo detti, con quali parole ci siamo lasciati. Non li ricordo semplicemente perché mai avrei pensato che quelle sarebbero state le sue ultime parole. Mi piace pensare che Sergio ritorni per un ultimo istante, che riappaia di fronte a noi e ci canti per l’ultima volta questi semplici versi anonimi:

 

Non stare al mio sepolcro afflitto da tormento.

Io non sono lì, non sto dormendo.

Sono migliaia di venti dal soffio lieve

sono i bagliori diamantini sulla neve

 

sono la luce del giorno sul grano maturo

sono la pioggia gentile che cade in autunno.

Quando ti risvegli nella quiete del mattino

sono il rapido impeto che si leva repentino

 

di quieti uccelli in volo circolare

sono i fiochi chiarori nel buio siderale.

Non stare al mio sepolcro pieno di sconforto.

Io non sono lì, non sono morto.

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