Il valore della persona… Il rifiuto della vita

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FANO – di Armando Trasarti * – “Soltanto attraverso l’amore siamo in grado di plasmarci come persone, cominciando a credere davvero per la prima volta alla nostra particolare importanza” (E.Drewermann, la ricchezza della vita).

Cosa dire della vita? Abbiamo pensato ad essa come a un dono? Ebbene sì, la vita è un dono perché noi non ce la siamo data da soli, l’abbiamo ricevuta. Essa è come uno scrigno prezioso dove ci sono gioielli bellissimi. L’amore, l’amicizia, la bellezza, la natura,… tutto ci lascia senza parole e ci fa sentire la gioia di esserci.

Ma se la vita è un dono, un’avventura meravigliosa, perché possa esprimere tutta la sua bellezza è necessario accoglierla e coltivarla ogni giorno, dando ad essa un significato. L’uomo per vivere ha bisogno di un contenuto e di una relazione che giustifichi la sua esistenza, il suo essere al mondo.

Tutti i suicidi e i tentativi di suicidio hanno un’unica causa: la massima disperazione senza uno spiraglio di luce. “La condotta suicida non può essere interpretata come una specifica patologia psichica ma come il sintomo più tragico che questa società si ostina a rimuovere dalla propria coscienza: le diverse forme del disagio e dell’inquietudine giovanile, ovvero la condizione esistenziale di una intera generazione” (Le dimensioni del vuoto. I giovani e il suicidio . Feltrinelli 1993-2000. di Paolo Crepet)

Appesi ad una corda, volati ad occhi chiusi da balconi e finestre, investiti da treni, coi polsi tagliati nella complicità di un momento cercato e meditato da tempo. Giovani come tanti, quasi sempre descritti come tranquilli, ma che nascondono nel cuore un senso di oppressione psicologica raccontano gli psicologi per un “mondo fuori misura”, convinti che la morte li spii ad ogni angolo di strada. La grande tentazione, il gran salto, l’ultima fuga.Il suicidio giovanile si conferma in Europa la seconda causa principale di morte  tra gli adolescenti e la prima tra i giovani tra i 25 e i 34 anni.

Dicono gli esperti che il fattore più incisivo della condotta suicida rimane ancora la famiglia. Ma chi oggi aiuta o sta aiutando la famiglia!!? I genitori stessi non sembrano oggi dei “guaritori feriti”? Assenza di coesione ed integrità del nucleo, ostilità o indiffrenza reciproca tra i genitori e dei genitori rispetto ai figli, condotte affettive anale, problemi di comunicazione, eccessiva rigidità dei ruoli, cancella zione delle differenze generazionali… A me sembra che il ricondurre tutto e solo alla famiglia sia troppo riduttivo.

La paura dimensione della condizione umana.

L’esistenza dell’uomo è radicalmente attraversata da conflitti interiori ed esterni che mettono a dura prova la sua capacità di resistenza. Le difficoltà di rapporto con gli altri e il conseguente stato di solitudine esistenziale, le frustrazioni personali, che accompagnano i processi di crescita individuale e collettiva e, più profondamente, l’orizzonte onnipresente della morte sono altrettanti sintomi di una situazione di malessere ontologico, che suscita paura e perfino disperazione.

La fuga psicologica da parte del singolo che, attonito e quasi passivo, ritiene di non essere in grado di cavarsela  di fronte a una determinata situazione. E’ questa la risposta di chi pensa “io non valgo niente, sono incapace di tutto”. E qui si aprono le porte della depressione, uno dei capitoli più drammatici dell’esistenza umana che può portare ad un epilogo tragico.

Ma la paura finirà proprio per fare la storia dell’uomo e delle comunità? Qui entra in campo la parola Amore come chiave della sicurezza nei rapporti sociali: amore inteso come reciprocità,collaborazione, cooperazione.

Il dolore, quel senso di morte e di sconfitta costante è di tutti, senza sconti di appartenenza sociale. A partire da qui, dalla considerazione dell’universale condizione esistenziale, nasce il dubbio per alcuni, la certezza per altri, che dietro la sofferenza, dietro il dolore una Intelligenza di Amore, spesso velata dal silenzio, può spiegarne la necessità e l’insopprimibile presenza nella vita degli uomini.

 

La paura del passato: il rancore

Il rancore è un demone terribile: una valigia pesante. Nasce dalle ferite ricevute o dalla sensazione che qualcuno ci sta facendo del male. Per rinunciare al rancore o alla rabbia si deve riconoscerla ed esprimerla. C’è qualcosa di stranamente difficile nel lasciarsi alle spalle gli insuccessi. Talora si scatena una volontà di vendetta impotente, che provoca tutta una serie di fantasie distruttive che, non potendo colpire la controparte, in genere si ritorcono contro di noi provocandoci depressione, senso di disvalore universale, introversione.

 

Così scrive R. Tagore : Ti prego: non togliermi i pericoli,

                                      ma aiutami ad affrontarli.

                                     Non calmar le mie pene,

                                     ma aiutami a superale.

                                     Non darmi alleati nella lotta della vita..

                                      eccetto la forza che mi proviene da te.

                                      Non donarmi salvezza nella paura,

                                      ma pazienza per conquistare la mia liberta

                                    Concedimi di non essere un vigliacco

                                    usurpando la tua grazia nel successo;

                                   ma non mimanchi la stretta della tua mano

                                   nel mio fallimento.

 * Vescovo della Diocesi di Fano, Fossombrone, Cagli e Pergola

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