Il “Discorso alla Città” di Matteo Ricci. In campo per diventare il sindaco di Pesaro

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PESARO – «Un bel po’», per dirla con lo slogan, è l’essenza dell’identità pesarese. «Un bel po’» è tanta roba. Quella che Matteo Ricci mette sul piatto, davanti alla città, ufficializzando la sua presenza nella corsa a sindaco. L’uscita dal provincialismo, «perché nella crisi abbiamo bisogno di una città che conta». La dimensione e l’ambizione nazionale da conferire al territorio, intersecata all’impegno locale e al «contatto diretto con i cittadini». La visione di Marcello Stefanini. Il sogno di don Gaudiano. Un sindaco che guardi «oltre la Chiusa di Ginestreto», con il potere contrattuale di trattare e «farsi aprire le porte, per andare a chiedere le risorse, lì dove ci sono». L’immobilismo da combattere, «la sindrome del ‘non si può fare’ da sradicare». La burocrazia da radere al suolo. Il lavoro da creare e sostenere. Il disegno di ‘Pesaro primo centro delle Marche’. Concetti che si legano e vanno di pari passo, trasformandosi in motivazione. Così il dado è tratto: «Ho accettato la richiesta di chi mi sostiene e sarò della partita. Chi sta solo a Roma, perde il contatto con la realtà. Ne ho visti già molti. Metto quel poco di visibilità che mi sono creato, e soprattutto le relazioni che ho costruito, a disposizione della città e dei pesaresi. Fare il sindaco? E’ la cosa più bella, è il contatto quotidiano con le persone. E’ sentire respirare la propria città». L’appello: «Mi rivolgo a tutta la città. Sono con orgoglio uomo di sinistra, tutti lo sanno. Ma adesso c’è bisogno di chiamare tutti coloro che hanno buone idee, passione e amore per Pesaro. In ballo c’è il futuro della città e non quello di un singolo partito». Ricci annuncia un progetto quindi, fortemente civico. «Mi confronterò con tutti, sarà un percorso partecipativo. Girerò tutti i quartieri, l’ascolto sarà fondamentale è il programma lo scriveremo insieme». Intanto, con il suo discorso, «vuole indicare una direzione di marcia».

La cronaca. Videoclip delle cene in famiglia. Highlight del facebook-tormentone “Sei di  Pesaro se…”. Ingresso pop sulle note di ‘Wake me up’ di Avicii. Sul palco l’abbraccio con i sostenitori e i cittadini che gremiscono la Pescheria. Poi Ricci va al sodo e attacca partendo dall’esperienza amministrativa in Provincia. «Abbiamo fatto della sobrietà e dell’approccio popolare la nostra parola d’ordine». Cita la rinuncia convinta all’auto blum sostituita dalla Multipla a metano». Poi ricorda di non aver abbandonato la nave, quando poteva, come hanno fatto altri al suo posto, perchè «la buona politica è prendersi le proprie responsabilità e portarle avanti a testa alta, nonostante le difficoltà». Quindi: «Ho fatto la cosa giusta: sono rimasto al mio posto perché non c’è cosa più rivoluzionaria che fare il proprio dovere fino all’ultimo giorno. Castiglione, il presidente dell’Upi, è invece stato il primo a scappare. Si è dimesso per il parlamento e oggi fa il sottosegretario all’Agricoltura» Ironico: « Indicativo di come vanno le cose in Italia…».

Nuovi assetti. «La trasformazione delle Province, che diventeranno enti di secondo livello, con funzioni di area vasta, cambia tutto per noi, che siamo una terra di confine. Uno dei motivi per cui accetto la sfida è la tenuta economica e sociale del territorio provinciale». Chiarisce Matteo Ricci: «Il prossimo sindaco di Pesaro non può fermare lo sguardo alla Chiusa di Ginestreto. Dovrà accollarsi le ansie, i problemi, le potenzialità dei pesaresi e di tutti i cittadini della provincia, compresi quelli di Frontone e Carpegna. Probabilmente il prossimo presidente sarà un rappresentante delle aree interne, ma il Comune di Pesaro avrà un grande ruolo per tenere unito il territorio. Non torniamo alle contrapposizioni tra costa ed entroterra e ai vecchi campanilismi tra Pesaro e Fano. Pesaro avrà una grande responsabilità provinciale». C’è il rimando alla storia, ai ‘Musi Neri’, «i lavoratori che dal nostro territorio sono partiti per le miniere del Belgio. Compresi i miei nonni. Nei primi anni 60 sono tornati: dalle aere interne sono arrivati a Pesaro, costruendosi la propria casa e facendo nascere  nuovi quartieri.. La storia della nostra città è la storia della nostra provincia».

Pesaro. «Ceriscioli ha ben governato. Noi pesaresi non ci accontentiamo ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti: passi avanti su viabilità, mobilità e servizi. Nonostante i tagli. Pensiamo al confronto tra i cambiamenti di Pesaro, negli ultimi 10 anni, e quelli di Fano».  Passaggio politico sulla vicenda segreteria regionale: «Ho capito che in Regione non ci vogliono, che non vogliono i pesaresi. Ma non è che possono eliminarci a tavolino perché un pesarese vince…».

La fine del provincialismo. Ricci cerca un altro passo. «Prima avevamo il lavoro ed eravamo ricchi. Il provincialismo poteva essere un punto di forza. Oggi il lavoro non c’è e siamo molto meno ricchi.  Dunque il provincialismo rischia di diventare una grande palla al piede. E’ il momento di pensare in grande, ragionare su nuovi assetti. Il primo progetto su cui chiederò una condivisione è una visione che Stefanini ha avuto negli anni Settanta». Tradotto: «Pesaro prima città delle Marche, facendo da subito, entro il 2014, un’unica unione dei Comuni, insieme ai Comuni della Valle del Foglia, Gabicce e Gradara. Un conto è il municipio, un conto la gestione dei servizi. Dobbiamo pesare di più nei confronti della Regione, specie con la trasformazione delle nuove Province». Secondo Ricci, nel rapporto con la Regione, sono emerse luci e ombre: «Luci su gestione della crisi e infrastrutture, politiche sociale. Molte ombre, invece su sanità e trasporti».

Trasporti e ospedale. Chiarisce: «Si continua a considerare Pesaro un centro che non necessita di trasporto pubblico. Abbiamo un quarto dei chilometri che ha Ancona; la metà degli altri capoluoghi di Provincia. E Adraibus nel Paese è una delle poche società sane nel settore. Sulla sanità: «Negli ultimi 10 anni i risultati sono stati deludenti. E’ aumentata la mobilità passiva. Capiamo i tagli, ma non si può ridurre a ‘Marche Nord’ il budget  per 6 milioni. E se non c’è il nuovo ospedale, la riforma è monca. Sull’ospedale abbiamo fatto tutto: studi, delibere comunali, delibere provinciali. Si fa o non si fa? Se qualcuno pensa di continuare a prendere in giro i pesaresi, non siamo più disposti. Vogliamo sapere come stanno le cose». E agli ammininistratori fanesi: «Se pensano di fare una campagna elettorale contro l’ospedale unico,  noi l’ospedale lo facciamo uguale. E lo facciamo a Muraglia»

Patto di stabilità. «La prima città delle Marche si fa anche per sbloccare risorse. Sappiamo quanto il patto di stabilità sia un vincolo. Con l’Unione dei Comuni, immediatamente Pesaro sbloccherebbe 9 milioni di euro per lavori di manutenzioni nelle strade,nelle scuole. E’ una riforma, bisogna farla». La strada è semplificare e risparmiare: «Se abbiamo fatto un unico comando dei vigili urbani possiamo fare anche un unico ufficio urbanistico, un unico ufficio dei lavori pubblici». Parola d’ordine: «Meno dirigenti, meno burocrazia, più servizi. La pubblica amministrazione, così come concepita, alla luce della crisi non ha più senso. Perché non ci sono i soldi per le strade e gli asili e alla fine dell’anno dobbiamo dare il premio ai dirigenti? Per fare cosa, per tagliare? Nel pubblico, come nel privato, è troppa la differenza tra chi prende poco e troppo».

Società di servizi: «Sono troppe. Marche Multiservizi ha una dimensione provinciale e regionale. Aspes gestisce cimiteri, impianti sportivi, farmacie e verde: perché non può gestire anche i parcheggi? O l’innovazione, e l’organizzazione di convention e manifestazioni turistiche? L’idea è un’unica società di servizi per tutti i Comuni del bacino pesarese». Il messaggio: «Se qualcuno che mi sostiene è in attesa di posti, cambi candidato. I posti saranno meno. Ci saranno meno presidenti, meno consigli di amministrazione, meno revisori dei conti. E questa volta faremo fare un’esperienza a qualche giovane. Che almeno se la gioca. Forse è ora». Ancora sulla semplificazione: «Riduciamo i tempi, non possiamo avere un atteggiamento conservatore. Nel pubblico ci sono meccanismi inutili, assurdi, che fanno perdere la voglia di investire. Non hanno più senso. Pensiamo alle procedure di Via, di Vas. Ma è possibile che per realizzare una buona idea ci vogliono anni? Il mondo va a cento all’ora e noi andiamo ai 10. Facciamo la nostra parte. Negli uffici urbanistici, nello sportello unico».

Comune 3.0. «Dentro uno smartphone si può mettere la stragrande maggioranza dei servizi della pubblica amministrazione. Quante file, tempo, soldi si possono risparmiare? Cogliamo la rivoluzione digitale, pensiamo al nuovo Comune 3.0, aperto 24 ore su 24 grazie alle nuove tecnologie. In ogni momento della giornata deve essere possibile fare  una pratica online. La rivoluzione digitale può cambiare la pubblica amministrazione».

E sull’innovazione digitale «si può costruire un pezzo nuovo di economia locale. Facciamo crescere questo distretto, perché modernizza il sistema produttivo del territorio. Scommettiamo sul sostegno alle start-up e sul coworking».

«Si può fare». La foto di Gene Wilder e del suo «si può fare» in Frankenstein Junior continua il filone delle metafore: «Sconfiggiamo la sindrome del ‘non si può fare’. Nel pubblico, se uno ha una idea, la risposta è la chiusura: “Non si può fare”. E’ capitato anche a me di riceverla, per la riforma degli uffici turistici. O per investire meglio le risorse per la formazione. Il Comune deve diventare il primo luogo dove i cittadini vanno se hanno una buona idea. La risposta va cambiata, deve essere: ‘Vediamo come si può fare’». Sull’economia: «Va ripensata. Di sicuro rimarrà legata alla manifattura, è la nostra storia. Ma va riformata puntando sull’export. Sul mobile abbiamo ottenuto gli incentivi per le ristrutturazioni. Ora puntiamo sui prodotti personalizzati. Tessile, mobile, arredamento: ripensiamo i processi produttivi, i consumatori chiedono l’oggetto ad hoc, è un valore aggiunto. Con il Cosmob abbiamo lanciato il primo laboratorio sul tema della Regione Marche». Passaggi sul turismo: «Non può essere più considerato un’attività marginale. Si possono creare posti di lavoro. È un settore ad alta potenzialità, cambiamo mentalità. La promozione del singolo Comune? Assurda nel 2014». Edilizia: «Non possiamo più consumare nuovo territorio. Abbiamo bisogno di considerare gli edifici non solo luogo di servizi, lavoro o residenza ma nodi della nuova rete energetica».

Urbanistica e dintorni. Si sofferma sui processi di trasformazione urbana: «Sull’ex Bramante, continueremo a chiedere la sua valorizzazione. E’ una grande opportunità. Significa ripensare tutto il percorso da Rocca Costanza al porto». Ancora: «Rocca Costanza ce la vogliamo riprendere per le iniziative culturali. E’ un insulto all’intelligenza pensare che lì dentro ci vada l’archivio». Non solo: «No al parcheggio sotto terra in viale Trieste. Non ci ho mai creduto. C’è già il parcheggio del Curvone da far funzionare». Torna sull’ex Bramante: «Se il bene sarà valorizzato prima della fine della legislatura, tutto il valore in più che da l’ otteremo lo metteremo a disposizione della città. Magari per i lavori del vecchio Palas o per la bonifica dell’ex Amga». Mette in fila le questioni San Benedetto, ex carcere minorile, San Domenico. Poi la vicenda Questura: «La Caserma? Siamo orgogliosi del 28esimo, è un nostro orgoglio. Ma anni fa c’erano 1500 persone, adesso 600. Possibile che servono tutti gli spazi come prima? In fase spending review, la Questura è in due edifici della Provincia. Non vogliamo certo sfrattarla ma ci pagano la metà. Si utilizzino le risorse che il ministero dell’Interno dà ora per l’affitto alla Provincia per ristrutturare gli spazi della caserma che sono dello Stato. Così facciamo la Questura nuova e liberiamo due beni. Magari otteniamo risorse per fare lavori nelle strade e scuole. Ma non è accettabile che due ministeri dello Stato non collaborino, caricando sugli enti locali i loro problemi. Non molliamo, abbiamo appena iniziato. E’ questione di buon senso».Vira sulla sicurezza. riconoscendo il «grande valore delle forze dell’ordine nel territorio».

A tutto tondo. Poi la sostenibilità, le piste ciclabili. Il sostegno alla voglia di imprenditorialità e la proposta: «Abbiamo mantenuto la capacità di gente che vuol fare impresa, va accompagnata. Tagliamo per i primi 3 anni le tasse comunali alle nuove imprese che nascono». Lo stop: «Basta altre grandi commerciali non ne abbiamo bisogno. E’ anche questione culturale: gli ipermercati non possono diventare i luoghi di ritrovo». Il rilancio del centro storico: «Portiamo più vivacità, più locali. Magari rinunciando a un po’ di tranquillità».

Pesaro solidale. Cultura, sociale volontariato. L’eredità di Don Gaudiano da tenere viva per una città solidale: «Sosteniamo le politiche sulla casa, perché crescono i nuovi emarginati. Affrontiamo il nodo delle nuove povertà. E guardiamo ai problemi con gli occhi degli ultimi. Così la comunità mantiene la sua unità».

Contare di più. Tutte cose che si possono fare «riducendo il costo dell’organizzazione pubblica per avere risorse da destinare ai servizi.  E andando a prendere i soldi dove ci sono. A Roma, in Europa, in Regione. Per raggiungere l’obiettivo, dobbiamo essere più ambiziosi.

Un bel po’.  Spiega lo slogan: «Ho pensato alla tigna della nostra gente. Alla voglia di non mollare. Alla cultura del fare e della solidarietà che abbiamo. Ma anche alla giusta e sana ambizione che dobbiamo avere, perché Pesaro può essere la parte migliore del Paese. E’ il momento di rilanciare e di pensare in grande. Un bel po’ non è solo un modo di dire: è un’ambizione popolare. Di chi sa che l’umiltà e la semplicità sono caratteristiche che, se combinate al coraggio e alla determinazione, possono restituire speranza. Un buon sindaco deve fare cose concrete, quotidiane. E avere la forza di mettere in moto un contesto positivo». Il primo appuntamento per essere protagonisti del cambiamento, per Ricci, sono le primarie: «C’è un pezzo di futuro da costruire insieme».

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